martedì 14 ottobre 2014

Hannah Arendt


Bentrovati e benvenuti cari lettori di Frasiandu.

Questa sera vi parlerò di una grande filosofastorica e scrittrice tedesca naturalizzata statunitenseHannah Arendt.
Nasce nel 1906 a Hannover da famiglia ebraica e ciò sarà fondamentale nella sua vita.
Studia filosofia in svariate università con i più grandi maestri dell’epoca, tra cui anche Heidegger con il quale ebbe anche una relazione  sentimentale intensa e sofferta, poiché egli era un nazista mentre la Arendt patisce sulla sua pelle le persecuzioni.
Questo amore resisterà anche alla totale diversità di scelte biografiche e culturali dei due, tant’è che dopo la guerra questa relazione durerà ancora.
La Arendt costretta ad emigrare per le persecuzioni nazista, va prima in Francia e poi negli Usa dove insegna in diverse università, continuando a far ciò fino alla morte avvenuta nel 1975.

Il suo percorso intellettuale ha inizio con la tesi di dottorato su cosa intendesse S Agostino con il concetto di amore, ma l’opera sicuramente più importante è LE ORIGINI DEL TOTALITARISMO.

Nel 1958 scrive un saggio intitolato “La vita active” dedicato all’analisi della dimensione politica, che è il luogo della realizzazione dell’identità umana, e che è soprattutto libertà.

Nel 1963  scrive alla fine del processo ad Eichmann, un testo intitolato “ La banalità del male”.
Infatti nel 1960 era accaduto che fosse stato arrestato questo Eichmann in argentina, un tenente delle S.S., che aveva avuto la responsabilità di destinare gli ebrei ai campi di concentramento, responsabilità che per quanto tecnica, era comunque enorme.
Egli viene arrestato e processato in Israele, poi condannato e impiccato. La Aredt viene inviata come inviato speciale da un giornale “Il New Yorker” a seguire il processo, ala cui fine ella scrive questo testo già evocativo nel nome convincendosi di una tesi che susciterà tantissime polemiche soprattutto nell’ambito dell’ebraismo.
La Arendt infatti si convince del fatto che i crimini nazisti non sono dovuti tanto alla crudeltà dei loro carnefici, ma al fatto che essi fossero piatti cerebralmente , cioè privi di pensiero, tant’è che inseriti all’interno del meccanismo nazista diventano capaci di commettere atrocità inaudite.
Quindi i nazisti non sono affatto incarnazioni degli aspetti più spregevoli dell’animo umano, ma sono banali individui perché privi di qualsiasi capacità di pensiero,  e proprio perché persone banali all’interno di un meccanismo infernale posso fare atrocità, meccanismo infernale che affida alle macchine la responsabilità delle scelte.
La Arendt quindi si chiede se è possibile che i tedeschi siano tutti diavoli, la risposta è no, e la spiegazione di tutti i crimini nazisti sta nella loro totale assenza di pensiero. Infatti, quando viene chiesto ad Eichmann il perché degli stermini, egli rispose “io eseguo gli ordini”, esplicazione perfetta di piattezza, e poiché questi ordini provenivano dalle macchine, la responsabilità era probabilmente soprattutto di queste macchine.
Tutto ciò scatena un putiferio nella comunità ebraica perchè le si imputa che nei suoi scritti ci sia una quasi assoluzione ad eichmann e una riduzione delle responsabilità dei nazisti, oltre che un’accusa implicita anche x gli ebrei.
In realtà ciò non era affatto vero perché ella voleva sottolineare un fatto tremendo, cioè che per fare il male non era necessario essere malvagi.
Infatti un buon padre di famiglia, un burocrate quindi una persona normale e banale può fare del male se si trova inserito in un meccanismo politico – sociale o in un apparato poliziesco che lo spingono ad agire senza pensare.
Il nazismo aveva quindi tolto ai tedeschi la capacità di pensare, ovvero di giudicare le proprie azioni.
I campi di concentramento non solo hanno distrutto fisicamente ma soprattutto hanno spogliato l’identità di essere uomini, svilendo alla radice la capacità di giudicare i propri atti, tant’è che le azioni commesse erano crudeli, ma chi le commetteva non era affatto demoniaco, e ritenerlo tale sarebbe anche pericoloso perché lo sgraverebbe delle colpe. E’ troppo comodo far coincidere i nazisti con il demonio, e gli angeli con gli ebrei.
La grande responsabilità dei nazisti sta quindi in definitiva nel non pensar più alla sussistenza morale dei propri atti, e tralasciando così completamente di avere dei principi morali. Ciò però non accade perché sono pazzi, ma perché vivono uno spossessamneto della propria identità.
In conclusione Eichmann è un uomo comune, superficiale e mediocre, incapace di pensare al valore morale dei propri atti. Dietro questa mediocrità, vi è la banalità del male, poiché sono individui banalmente comuni a poter compiere il male.
Il guaio del caso eichmann era che come lui ce ne erano tanti altri, che non erano affatto pazzi ne sadici ma erano terribilmente normali.
Il nazismo non incarna il male in sé, ma il fatto di aver condotto uomini banali, a compiere del male atroce.
Tutto questo discorso sarebbe appropriato anche x gli scienziati che lavorano alla bomba atomica.

LE ORIGINI DEL TOTALITARISMO
Questa opera appare nel 1951 nel periodo della guerra Fredda, ovvero quel momento storico caratterizzato da un profondo conflitto politico – ideologico tra i paesi che facevano riferimento al blocco atlantico e quindi al primato americano(liberal – democratico) e i paesi del blocco continentale vicina all’URSS.
La fortuna di quest’opera non fu affatto immediata,anzi inizialmente fu accolta con non poco scetticismo perché in quest’opera si stabilisce equiparazione tra esperienze totalitarie del 900, cioè comunismo e nazismo tentando di rintracciarne radice comune. Quindi questa tesi della Arendt non ha successo perché non riusciva  a capire come il comunismo che aveva avuto un ruolo importante nella distruzione del nazismo, dovesse essere giudicato alla stregua dei nazisti ed inoltre perché si riteneva che la radice culturale dei due fenomeni fosse diversa, mentre la Arendt dirà l’esatto contrario.
L’Europa però in quegli anni presentava una guerra appena finita con la vittoria degli alleati grazie anche all’appoggio della Russia, e quindi l’idea della Arendt non era vista affatto bene nonostante iniziassero a giungere notizie del clima non certo liberale dell’URSS, delle persecuzioni e delle torture, poiché si pensava comunque che in Russia si era aperta una nuova stagione della liberazione dell’uomo.
Quindi questa tesi della  Arendt non ebbe successo fino a metà degli anni 70, quando il carattere profondamente totalitario dell’esperienza russa è venuto fuori, con il dispiegarsi dei campi di concentramento russi e l’emergere delle strutture oppressive nei confronti delle opposizioni sia esterne che interne al Part. Comunista, con le uccisioni da parte di Stalin di Trolsky, poi l’esponente della sinistra e poi anche quello di destra, Burakin. Solo Gruschov alla mort4e di Stalin rivelerà la deriva totalitaria russa.
Man mano che il comunismo mostrava il proprio lato totalitario, più prendeva corpo l’ipotesi della Arendt, ma bisogna comunque dire che fino a qualche anno fa gli ambienti della sinistra si ostinavano ad affermare che un conto è l’idea comunista ed u conto è la sua applicazione, tant’è che in Russia l’idea comunista era degenerata in chiave oppressiva e anti – liberale, senza che fosse possibile fare paragoni tra nazismo e comunismo.
Martelli a tal proposito dice: “ nazismo e comunismo (fascismo discorso a parte perché non riuscì ad essere così penetrante) pur non essendo intrinsecamente totalitari favorivano il diventarne e pur essendo profondamente diversi quanto a base sociale politica ed culturale, interessi rappresentati(il comunismo rappresenta quelli del proletariato, il nazismo della piccola media borghesia uscita con le ossa rotte dal primo conflitto mondiale) e tendenze, svilupparono prassi politiche e forme politiche di controllo sociale fondamentalmente analoghe.
Pur essendo ideologia comunista fondata sul materialismo dialettico(filosofie di Hegel e di Marx) e quella nazista fondata sul razzismo volgare( si definisce volgare perché pur non essendo la prima volta che si sviluppano idee razziste, quello dei tedeschi è diverso in quanto è biologico, ovvero discrimina una persona in base all’appartenenza ad una determinata razza,e entrambi però giungono ad una legge dell’esclusione per cui chi non sta dalla loro parte non è solo un avversario contro cui combattere, ma è un nemico da distruggere e annientare perché dannoso nel progetto di costruire un astratto nuovo uomo.
Infatti, il comunismo identifica il bene con il proletariato e il nazismo solo con la razza ariana, e quindi considerando ogni altra razza o ogni altro soggetto un ostacolo alla realizzazione del bene, esso deve essere distrutto.
Quindi il presupposto è folle(presupposto è l’idea che il bene si identifichi in una trazza o in una classe), ma la conseguenza è logicamente ineccepibile.
Quindi bisogna dire che i milioni di morti in Russia non sono affatto solo frutto di una degenerazione, ma sono una conseguenza intrinseca nella idea marxista.
Infatti, ogni tentativo di costruire un uomo radicalmente nuovo, pensando che il male fosse definito in qualcosa di preciso, è follia.
Quindi si può affermare  che la radice del totalitarismo sta nell’idea che l’uomo sia fondamentalmente buono mentre se si giungesse ad accettare l’idea che l’uomo è un impasto inestricabile di tendenze al bene e al male, tutto ciò forse sarebbe evitabile.
Quindi in conclusione quest’opera fino agli anni 70 fu vista come un tentativo di fare un processo al comunismo  che invece per l’Europa aveva avuto un ruolo fondamentale nell’abbattere il nazismo, ed u tentativo di diminuire le colpe le critiche del nazismo, mentre la Arendt voleva scandagliare a fondo le radici del fenomeno totalitario.
Oggi invece quest’opera viene ritenuta una dei testi più importanti per comprendere le radici di questo fenomeno, tant’è che non c’è nessun intellettuale che mette in dubbio importanza di questo testo.

La tesi centrale della Arendt è che il totalitarismo è una forma politica del tutto nuova, che non deve essere messo sulla stessa lunghezza d’onda delle esperienze dispotiche, dittatoriali, autoritarie,tiranniche, e illiberali che abbiamo avuto nella storia d’Europa.
La specificità del totalitarismo sta nei seguenti elementi:
            1. mentre queste vecchie esperienze avevano ambizione di essere  in linea con la tradizione( baluardi a difesa della tradizione), il totalitarismo laddove si è insediato ha creato un rapporto eversivo e rivoluzionario con la tradizione, distruggendo ogni radice giuridico, politico, sociale e creando istituzioni del tutto nuove.
            2. non ha solo preteso la subordinazione politica tramite la sostituzione dei partiti con movimenti di massa, ma ha anche invaso la sfera privata. Infatti, non c’è stato solo un controllo ferreo sulla società, politica  e l’economia, ma il totalitarismo ha anche espresso un enorme capacità di controllo sulla vita privata dei cittadini.
            3. il totalitarismo si differenzia dall’autoritarismo nonostante intrattenga con esso delle somiglianze.
            SOMIGLIANZE:
            - personalizzazione del potere che si identifica in una persona, a differenza dei regimi liberali dove c’è una concezione impersonale per cui il potere è dato alle istituzioni.
            - violazione delle garanzie e dei diritti dei cittadini
            - abolizione del pluralismo politico e quindi repressione di ogni forma di contrasto interno.
            DIFFERENZE:
            - mentre i regimi autoritari favoriscono la passivizzazione politica degli individui ovvero non incitano alla partecipazione politica,anzi temono la militanza attiva dei cittadini, il totalitarismo saia nazista che comunista ha espresso una gran capacità di mobilizzazione permanente politica e quindi favorisce la poilitizzazione dei cittadini sebbene questa politizzazione sia governata dall’altro(es. Il cammino dei giovani che fin da piccoli vengono cresciuti in organizzazioni para – militari che sviluppo il loro sentimento di nazionalismo).

Questo testo è diviso in 3 parti dedicate a :
  1. ANTISEMITISMO
  2. IMPERIALISMO
  3. TOTALITARISMO, che secondo la Arendt è spiegabile in base ad un intreccio perverso tra terrore e ideologia.
Bisogna inoltre precisare che la Arendt non ne parla come un qualcosa ormai che è passato e non ritornerà mai più, ma analizza un qualcosa che potrebbe anche ritornare, poiché è intrinsecamente legato allo sviluppo della società moderna, è una delle sue varianti, e può scaturire dalla crisi della società in cui viviamo. In altre parole, la Arendt non scrive con lo spirito di chi studia qualcosa che non tornerà più, ma lo scrive con la consapevolezza che esso è stato una risposta perversa ad un problema tipico della società moderna.
Quindi non è folle pensare che il totalitarismo possa tornare , ed è sui problemi che potrebbero riportarlo alla luce che la arendt richiama la nostra attenzione.

ANTISEMITISMO
Viene considerato dalla Arendt la lontana premessa al fenomeno totalitario. L’odio anti – ebraico ed il disprezzo biologico non sono solo del nazismo tedesco poiché esso inizia a diffondersi a partire dal caso Dreyfuss, un capitano dell’esercito francese dell’800 che viene accusato di aver rivelato segreti militari al nemico tedesco. Viene fatto un processo, l’opinione pubblica si spacca in due, e a sua difesa si pone Zola. Dopo la fine del processo e la morte del capitano si scopre che egli non aveva fatto nulla ma che il problema era il fato che egli fosse un ebreo.
Nasce così il filo avvelenato dell’antisemitismo.

IMPERIALISMO
Questo fenomeno caratterizza l’Europa dall’ 800 fino alla prima guerra mondiale, nel momento in cui la borghesia non si accontenta più di sfera economica soltanto ma vuole anche la sfera politica, cosicché ciò sta alla base dello scoppio di conflitto tra gli stati europei che è la base delle idee imperialistiche.

TOTALITARISMO
è l’intreccio diabolico tra terrore e ideologia, terrore esercitato sia dalla polizia segreta, che pervade anche la sfera privata sia attraverso i campi di concentramento che non hanno solo la funzione di perpetrare torture fisiche, ma hanno soprattutto il ruolo di nullificare l’uomo sul piano dell’identità umana. Infatti, in passato vi erano state altre forme di oppressione politica, ma la novità del totalitarismo sta proprio in questa nullificazione umana.

Infine, per capire quali sono i problemi della società moderna che potrebbero portare ad un ritorno del totalitarismo bisogna tener conto che la società moderna nel corso dello sviluppo umano va incontro a delle crisi, in cui c’è un collasso di quelle organizzazioni dove gli individui rappresentano non solo i suoi interessi, ma anche la propria identità.
 Ad esempio in Germania vanno in crisi i partiti,  sindacati, le classi, e poiché essi rappresentano non solo l’interesse dei cittadini, ma anche una loro identificazione simbolica, si perde la protezione, cosicché il cittadino è atonizzato, e può facilmente suscettibile alle suggestioni carismatiche di chi si propone come il salvatore della situazione.
Il totalitarismo quindi non nasce di punto in bianco, ma perché l’individuo perde quelle relazioni che ne costituiscono l’identità, e ciò lo espone facilmente a derive totalitarie, poiché si trova in una condizione di isolamento e solitudine.
In altre parole, lo sradicamento e l’atomizzazione dell’individuo dal contesto d’identità, dove nasce  e cresce, è il terreno ideale per il totalitarismo, tant’è che di solito chi aderisce a nazismo e comunismo è un tipo riservato, frustato ed con un atteggiamento di rivalsa. Le masse di uno stato totalitario sono frutto della frammentazione del tempo e delle perverse modifiche attuate dal totalitarismo

Questo problema però non è affatto passato, poiché oggigiorno viviamo in una società di massa nella quale ogni individuo sembra esser solo.

Una delle teorie tra le più famose e accreditate sui totalitarismi è quella ideata dalla filosofa contemporanea Hannah Arendt con la sua celebre opera: “Le origini del totalitarismo”. In esso la Arendt afferma che di fronte a eventi come i totalitarismi non si può parlare in termini di semplice oppressione o di tirannide. Nella Russia di Stalin e nella Germania di Hitler le tradizionali teorie politiche crollano a pezzi, richiedendo una spiegazione innovativa.  
La Arendt inoltre è stata ebrea nel reich del Fürer, quindi la sua non è solo una speculazione filosofica, ma è il tentativo di spiegare il perché è accaduto ciò che lei ha vissuto in prima persona. Non a caso la maggior parte della teoria va alla ricerca delle origini dell’antisemitismo e delle sue cause, tentando di spiegare come un fenomeno del genere possa essersi verificato in una nazione con un apparato di governo tra i più altamente sviluppati, elaborati e sofisticati, quale era la Germania e con un popolo culturalmente avanzato che all’epoca poteva sfoggiare “mostri” della cultura come Goethe, Nietzsche, Schopenhauer e altri ancora, e che poi raggiunse il suo acme nella delirante idea comunemente chiamata shoa: ovvero quell’immane tragedia dove più di sei milioni di ebrei vennero sterminati. Il più atroce scempio dell’era moderna, e non solo per il numero di vittime anche se incredibilmente elevato, in quanto anche il comunismo sovietico e altri regimi di stampo marxista (o che almeno così si definivano), hanno causato tragedie che in vite umane raggiungevano se non superavano quello nazista. Ma quello guidato da Hitler non può essere paragonato a nessun altro per razionalità e ferocità. Nei Gulag russi infatti, “i prigionieri morivano più per trascuratezza che per le torture effettuate dai russi” stessi, mentre i lager erano dei veri e propri campi di morte, che andavano ben oltre l’eliminazione fisica dei prigionieri, essi miravano anche all’eliminazione della persona nel profondo.
Ma non si deve cadere nell’errore di credere che il massacro degli ebrei era una follia imposta da Hitler, poiché tutti sapevano, ma ben poche furono le voci che si levarono contro le efferatezze del regime e per lo più provenivano dagli ambienti ecclesiastici della chiesa cristiana che il nazismo non riuscì mai a sedurre (al contrario di quella ortodossa) o a piegare quando si arrivò all’opposizione vera e propria. Hitler Infatti non ha mai approvato ufficialmente la shoa, ma nel sistema messo su dal nazismo bastava il tacito consenso del dittatore all’iniziativa di uno dei suoi discepoli, per scatenare una reazione a catena che vedeva i contendenti compiere gli azzardi politici più spietati, o le efferatezze più disumane pur di aggraziarsi ai suoi occhi.
I sentimenti antisemiti del popolo tedesco e non solo, furono un qualcosa che si sviluppò gradualmente nel tempo, e che iniziò a manifestarsi con l’espansione capitalistica in cui era insita la tendenza a liquidare i piccoli proprietari. Essi si resero conto che se non si fossero elevati al livello della borghesia sarebbero scivolati tra il proletariato (anche se il loro panico era infondato in quanto la predizione di Marx sul dissolvimento della piccola borghesia, si rivelò errata). In questa fase i piccoli proprietari speravano in un imminente miracolo o in un aiuto da parte dello stato, ma dovettero rassegnarsi a ricorrere al mal visto aiuto del banchiere, che assunse l’aspetto dello sfruttatore, quello che gli imprenditori rappresentavano per gli operai. Solo che gli operai forti dell’educazione marxista, sapevano che l’imprenditore adempiva il duplice compito di sfruttare e di rendere possibile il processo produttivo, mentre il piccolo negoziante nella sua difficile situazione, vedeva il banchiere come un parassita, che egli doveva accettare come socio inattivo benché non avesse alcuna parte nel suo commercio. E’ facile comprendere come l’uomo che usasse denaro per accaparrarsi altro denaro era più odiato dell’uomo che raccoglieva il suo profitto dopo un complicato processo produttivo; il banchiere appariva come lo sfruttatore delle disgrazie altrui.
La figura del banchiere presentava per ragioni storiche, caratteristiche quasi esclusivamente ebraiche, e anche allora molti banchieri erano ebrei, così i movimenti radicali piccolo-borghesi, la cui propaganda era diretta contro il capitale finanziario assunsero un orientamento antisemita (ciò non tanto in Germania paese rapidamente industrializzato quanto in Austria e Francia). Ma all’elemento socio-economico si aggiungeva il fatto che la potenza dei banchieri ebrei non era basata sui piccoli prestiti (che venivano lasciati ai colleghi poveri all’inizio della carriera), ma sull’emissione dei prestiti pubblici. A questo punto la piccola borghesia ebbe l’impressione che gli odiati ebrei volessero mettere le mani anche sul potere statale. Ciò permise al già alimentato risentimento sociale dei borghesi di trasformarsi in un elemento politico altamente esplosivo, l’odio sociale ed economico fornì d’altronde all’antisemitismo quella carica di violenza che fino ad allora gli era mancata.
Inoltre “per quanto numericamente insignificanti queste prime organizzazioni antisemitiche si distinsero subito da tutti gli altri partiti dello stato nazionale. Si proclamarono un partito al di sopra dei partiti”[2], con tale pretesa i partiti antisemitici annunciavano chiaramente il proposito di rappresentare l’intera azione, di impadronirsi del potere, di sostituirsi allo stato in ogni sua funzione, rimpiazzando la burocrazia politicamente neutrale coi propri seguaci. Aiutati dalla convinzione che il potere finanziario fosse qualcosa che già gli ebrei possedessero e che doveva essergli tolto, essi poterono inserirsi nei conflitti di classe dell’epoca, sostenendo di combattere gli ebrei, che presentati come la forza segreta dietro i governi, gli permisero di attaccare apertamente lo stato.
Ma in seguito le cose iniziarono a mutare, si ebbe una trasformazione della figura storica dell’ebreo. La crescente influenza del grande capitale sull’amministrazione pubblica e la superfluità dei servigi tipicamente ebraici per lo stato minacciarono di far scomparire la figura del banchiere ebreo. Il primo segno del declino di questi si ebbe con la sua perdita di autorità e di prestigio all’interno della comunità. Egli non era più così forte da accentrare e, in una certa misura, monopolizzare la ricchezza ebraica. Così i figli dei ricchi commercianti e, in minor misura, quelli dei banchieri abbandonarono la carriera paterna per le libere professioni o le attività puramente intellettuali che non avrebbero potuto esercitare qualche generazione prima. La nascita di una classe intellettuale ebraica che lo stato nazionale aveva tanto temuto a suo tempo ebbe ora luogo con incredibile rapidità. L’invasione nel mondo della cultura da parte dei figli di ricche famiglie ebree fu particolarmente massiccia in Germania e in Austria dove presero la guida di buona parte delle istituzioni culturali come i giornali, l’editoria, la musica, il teatro. E furono proprio gli intellettuali ebrei che per primi desiderarono l’ammissione nella società. Questa era qualcosa di insignificante per i loro padri che non si erano mai curati di intrattenere rapporti extrafinanziari con la popolazione locale, ma adesso diventò per essi un problema di primaria importanza. Gli ebrei guadagnarono in prestigio nell’evanescente mondo della cultura quel che avevano perso in fatto di posizione economica e potere politico, parallelamente, scompariva quasi completamente l’antisemitismo, essi diventarono il simbolo della società in quanto tale e il bersaglio dell’odio di tutti coloro che da questa società venivano respinti, un odio evanescente di cui pochi furono in grado di rilevarne la presenza. Infatti il risentimento verso la classe ebraica era solo stato soffocato, pochi se ne resero conto, ma esso era ancora insito negli animi di ognuno di coloro che per un motivo o per l’altro vedeva negli ebrei dei “ladri sociali” di coloro che pur non avendo apparentemente nulla contro di essi ne invidiava la posizione, la posizione presa da un popolo straniero. E quando questo risentimento, questa invidia per gli ebrei che seppur nascosta era più viva che mai venne alimentata dalle teorie fobiche di un pazzoide dalle eccezionali doti demagogiche, esse esplosero in tutta la sua violenza dando vita a quella che non a caso viene definita la pagina più buia della società “civile”.

Ma questo eccidio di massa la Arendt non lo giustifica solo come parte integrante (se non fondamentale) del programma nazista ma come una caratteristica essenziale senza la quale non può esistere un regime totalitario.
Infatti, come tutti ben sanno i regimi totalitari finché detengono il potere, dispongono e si giovano dell’appoggio popolare. Essi mirano ad organizzare le masse, non le classi come i vecchi partiti d’interessi, fanno leva sulla nuda forza numerica dell’ordine di milioni, al punto da rendere impossibile un loro regime, anche nelle circostanze più favorevoli, in paesi con una popolazione relativamente poco numerosa. Tanto che a suo parere Mussolini si dovette accontentare della “semplice” dittatura da partito unico proprio per tale deficienza. Gli stessi nazisti usavano criticare sdegnosamente gli alleati fascisti, mentre la loro ammirazione per il regime bolscevico era frenata solo dal disprezzo per le razze dell’Europa orientale.
Vi furono molti esempi di tentativi da parte di piccoli stati di instaurare un regime totalitario, e che preferirono ripiegare sugli schemi più familiari della dittatura di classe o di partito. La verità è che essi non disponevano a sufficienza di materiale umano per poter sopportare le enormi perdite di vite richieste da un apparato di potere totale. Ecco perché il nazismo fino all’espansione in tutta l’Europa rimase così indietro rispetto alla controparte russa in fatto di spietatezza e coerenza, fu solo dopo la conquista dei territori a est a permettere alla Germania di creare i campi di sterminio e di conseguenza di poter instaurare un regime totalitario in piena regola. “Il regime totalitario è infatti possibile soltanto dove c’è sovrabbondanza di masse umane sacrificabili senza disastrosi effetti demografici”.

Ma ciò che rende i totalitarismi un vero “enigma politico” è la loro capacità di organizzazione delle masse. Per massa Hannah Arendt si riferisce soltanto a gruppi che, “per l’entità numerica o per indifferenza verso gli affari pubblici o per entrambe le ragioni non possono inserirsi in un’organizzazione basata sulla comunanza di interessi [….]. Potenzialmente, essa esiste in ogni paese e forma la maggioranza della folta schiera di persone politicamente neutrali che non aderiscono mai a un partito e fanno fatica a recarsi alla urne”.  Il nazismo come il comunismo russo, reclutarono i loro membri da questa massa di gente indifferente mai presa in considerazione dagli altri partiti, attraendo molto più facilmente i tipici astensionisti. Il risultato fu che essi erano composti da persone che non erano mai apparse prima sulla scena politica. Ciò consentì l’introduzione di metodi interamente nuovi nella propaganda e un atteggiamento d’indifferenza per gli argomenti degli avversari, ponendosi al di fuori del sistema dei partiti nel suo insieme. Quindi non ebbero bisogno di confutare le opinioni contrarie preferendo metodi di terrore e guerra civile alla persuasione. Facevano risalire il dissenso a profonde origini naturali, sociali o psicologiche sottratte al controllo dell’individuo e al potere della ragione. Essi usano e abusano delle libertà democratiche per distruggerle, e potevano giustamente vantarsi di essere i primi partiti antiborghesi e con tale vanto catturavano la stragrande maggioranza delle masse che nell’individualismo borghese vedeva un nemico comune.
Inoltre sia Stalin che Hitler avevano capito benissimo che non importava se la maggioranza del popolo rimanesse esclusa dalla politica, in quanto l’orientamento dell’uomo di massa è determinato essenzialmente dalle diffuse influenze che formano il bagaglio inarticolato dell’intera società.
Tali individui, vengono trascinati verso l’atomizzazione individuale, ovvero nel cercare l’isolamento psicologico evitando di instaurare forti legami anche con le persone a noi più vicine. Nella società sovietica venne ottenuto con l’abile uso delle epurazioni, che invariabilmente precedevano l’effettiva liquidazione del gruppo. Per distruggere tutti i legami sociali e familiari, le epurazioni venivano condotte in modo da minacciare della stessa sorte, l’accusato e tutta la sua cerchia, dai semplici conoscenti agli amici e ai parenti più stretti. La conseguenza dell’ingegnoso criterio della “colpa per associazione” era che, appena un uomo veniva accusato, i suoi vecchi amici si trasformavano di colpo nei suoi nemici più accaniti; per salvare la propria pelle essi offrivano volontariamente delle informazioni, e si affrettavano a presentare delle denunce per avvalorare le prove indiziarie contro di lui che erano innocenti; questo ovviamente era l’unico modo per dimostrare la propria fidatezza. Essi cercavano di dimostrare che la loro vicinanza all’accusato era solo un pretesto per tenerlo d’occhio e al momento giusto smascherarlo come traditore. E’ chiaro che in un tale contesto la più elementare prudenza era quella di evitare ogni intimità, per tenere alla larga tutte le persone che in futuro avrebbero potuto portare alla rovina, e in un regime come quello staliniano dove chiunque in qualsiasi momento poteva essere accusato di tradimento, l’unica soluzione per non trovarsi coinvolto era quella di “atomizzarsi”. Fu con l’impiego di questi metodi polizieschi che il regime staliniano riuscì a instaurare una società atomizzata quale non si era mai vista prima, e a creare intorno a ciascun individuo una tale solitudine da vedere anche nei propri familiari dei possibili nemici futuri.
I movimenti totalitari sono organizzazioni di massa di individui atomizzati e isolati, da cui, in confronto degli altri partiti e movimenti, esigono una dedizione e fedeltà incondizionata e illimitata. Una simile fedeltà si può ottenere solo da un individuo totalmente isolato e atomizzato che sente di essere qualcuno solo nel momento in cui appartiene al movimento, al partito. Il totalitarismo, non si accontenta mai di dominare tramite lo stato e un apparato di violenza, esso ha scoperto un mezzo per dominare gli uomini dall’interno. La fedeltà totale è possibile soltanto quando è svuotata di ogni contenuto concreto, da cui potrebbero naturalmente derivare mutamenti d’opinione, l’obbiettivo della violenza e dei metodi polizieschi è di organizzare il maggior numero possibile di persone e farle marciare; un obbiettivo politico vero e proprio costituirebbe la fine del movimento, quindi semplicemente non esiste.

Ma più che della fedeltà incondizionata dei militanti del partito si rimane turbati dall’indiscussa attrazione che tali movimenti esercitano sull’elite intellettuale e sarebbe avventato dar poco peso, attribuendola a capricci da artisti o a ingenuità da studiosi, alla preoccupante schiera di uomini illustri che i totalitarismi possono annoverare fra i suoi iscritti e simpatizzanti.
Questo strano fenomeno è spiegabile se ricordiamo come gli artisti dell’epoca avessero accolto lo scoppio del primo conflitto mondiale come una purga per la società esistente. Essi erano animati dal desiderio di assistere alla rovina di questo mondo. Tale desiderio era così intenso da superare in ardore e incisività i precedenti movimenti di rinnovamento: ad esempio la “trasformazione dei valori” perseguita da Nietzsche, o l’appassionato amore per la vita nella pura avventura testimoniato da Rimbaud. Gli intellettuali insomma non necessariamente condividevano l’ideologia dei movimenti totalitari, ma in essi vedevano la speranza della rovina del mondo e della civiltà così come si conoscevano. Questo nuovo tipo di attivismo è stato portato avanti dai superstiti delle trincee, che difficilmente guarirono dall’entusiasmo per la guerra in seguito all’effettiva esperienza dei suoi orrori. Quasi nessuno di essi in seguito diventò un pacifista, anzi si aggrapparono a quei ricordi come se ne sancissero la separazione definitiva dall’odiato mondo della rispettabilità. In questo contesto la violenza, il potere la crudeltà erano divenute le supreme virtù di uomini che avevano abbandonato il loro posto nella società, che si erano fatti partigiani di tutto ciò che la società rispettabile avesse messo al bando e elevavano la crudeltà a massima virtù in quanto era l’antitesi dell’ipocrisia liberale e umanitaria del loro ambiente.
Nell’ambito di tali considerazioni si capisce perché questa gente si sentisse attratta dall’estremo attivismo dei movimenti totalitari, inoltre esso dava una nuova risposta all’interrogativo che da sempre nei momenti di grande crisi della società ritorna a farsi sentire: “Chi sono io?”. Se la società del perbenismo e dell’ipocrisia borghese sosteneva “sei quel che sembri”, l’attivismo totalitarista postbellico rispondeva: ”Sei quel che hai fatto”, l’importante era fare qualcosa, di eroico o di criminale, che fosse imprevedibile e indeterminato da altri. Per questo il totalitarismo appariva così attraente perché era diventato una specie di filosofia con cui esprimere la frustrazione, l’odio e il cieco risentimento; quel che si voleva era l’accesso alla storia, anche se il prezzo sarebbe stato la propria distruzione. Alludeva proprio a questo Gobbels quando dichiarò con palese soddisfazione che i nazisti avrebbero saputo in caso di sconfitta come sbattere la porta dietro di sé e non farsi dimenticare per millenni, questo pensiero era inoltre assecondato dalle masse che non esitavano al pensiero di dover pagare un prezzo, la distruzione della civiltà, per il piacere di vedere come gli esclusi del passato ora fossero i padroni incontrastati dell’intero sistema.

Ma mentre l’elite viene conquistata dall’impeto del movimento che promette di spazzare via i principi dell’ipocrita società borghese, le masse devono essere conquistate con la propaganda. Quest’ultima viene utilizzata dai movimenti totalitari solo fino a quando essi non detengono il controllo assoluto e devono ancora muoversi in un ambiente democratico e burocratico, dove non potendo applicare le regole proprie di un mondo totalitario sono costretti a servirsi di quella che è comunemente detta propaganda. Quando l’intero sistema burocratico viene demolito per far posto alla pura volontà del capo, la propaganda viene sostituita con l’indottrinamento e impiega la violenza non tanto per spaventare la gente (cosa che fa soltanto nelle fai iniziali in presenza di un’opposizione politica), quanto per tradurre in realtà le sue dottrine ideologiche e le menzogne politiche che ne derivano. Così ad esempio in Russia, Stalin non si limitava, a dispetto dei fatti, ad affermare che la disoccupazione era stata debellata, ma per dimostrare tale menzogna aboliva i sussidi di disoccupazione come parte della sua propaganda. Analogamente i nazisti quando sterminarono la classe intellettuale polacca, non lo fecero per la sua opposizione, ma perché in base alle loro dottrine, i polacchi non avevano intelligenza.
In linea di massima, dopo l’assoluto controllo del sistema, il partito si serve della propaganda solo alla politica estera o alla fornitura di materiale adatto alle sue sezioni in altri paesi. Ogni qual volta la linea propagandistica per uso esterno viene in conflitto con l’indottrinamento, la si spiega all’interno come una “temporanea manovra tattica”. La distinzione fra dottrina e propaganda, dipende dalle dimensioni del movimento: più esso sarà debole, tata più energia sarà spesa nell’azione propagandistica; il fatto è che le necessità della propaganda sono sempre dettate dal mondo esterno e i movimenti di per sé non propagano, ma indottrinano. Così l’indottrinamento, inevitabilmente accoppiato al terrore, aumenta con la forza del movimento, o con l’isolamento del regime dall’interferenza esterna.
La propaganda è in verità parte integrante della “guerra psicologica”, ma il terrore è qualcosa di più. Il terrore continua a essere usato dai regimi totalitari anche quando ha conseguito i suoi fini psicologici, mentre la propaganda una volta soggiogata la popolazione viene abbandonata (addirittura nella Germania nazista venne espressamente proibita).
In altre parole la propaganda è soltanto uno strumento, anche se forse il più importante col mondo esterno; il terrore è invece la vera essenza dei regimi totalitari. Esso prescinde dall’esistenza di avversari o da fattori psicologici nella stessa misura in cui in un paese costituzionalmente le leggi non dipendono dalle persone che le violano.
Anche la scientificità della propaganda viene abbandonata una volta conseguito il potere. Infatti, quando agiscono ancora in un ambiente democratico, sono costretti a fornire delle prove scientifiche alle loro sconvolgenti tesi per conquistare il consenso del popolo, ciò diventa superfluo una volta che il regime ha attuato la sua politica di indottrinamento della popolazione. Tanto è il distacco dalla realtà che l’azione psicologica ha provocato sui singoli individui che essi non si chiedono più il perché di quello che si pretende da loro, l’importante è che l’ordine venga dal capo, dal partito. Il trucco sta nello svuotare le loro teorie socialiste e razziste del loro contenuto utilitaristico (gli interessi di una classe o di una nazione), la forma di predizione infallibile in cui sono presentati questi concetti è più importante della sostanza. La principale qualità di un capo è diventata l’infallibilità perpetua, egli non può mai ammettere di aver sbagliato. Per far ciò un dittatore totalitario inquadravano le loro profezie sulla corretta interpretazione delle forze assolutamente sicure della storia per Stalin o della natura per Hitler che non possono essere contraddette perché alla lunga sono destinate ad avere il sopravvento, in questo modo per il popolo era più semplice sopportare le conseguenze di una sconfitta o la sofferenza provocata da una perpetua guerra, in quanto era un qualcosa di previsto nel grande progetto che alla fine avrebbe inevitabilmente portato alla vittoria del movimento per cui stavano lottando.
Il successo propagandistico della pianificazione sottoforma di profezia ebbe un tale successo, che spinse i capi totalitari ad annunciare le loro intenzioni politiche come una profezia. Il più famoso esempio è l’annuncio di Hitler al Reichstag nel gennaio del 1939: “Desidero oggi fare ancora una profezia, se il giudaismo finanziario internazionale…. dovesse riuscire a precipitare un’altra volta i popoli in un conflitto mondiale…. il risultato sarà…. l’annientamento della razza ebraica in Europa”, in termini non totalitaristici annunciava il proprio intento di fare una guerra e uccidere gli ebrei d’Europa. Analogamente Stalin quando si preparò allo sterminio dei deviazionisti di destra li descrisse come “una razza in via d’estinzione”. In pratica la liquidazione veniva inquadrata in un processo storico in cui si faceva o subiva quel che, secondo leggi immutabili doveva assolutamente verificarsi. Appena l’esecuzione avveniva, la profezia diventava un alibi retrospettivo: era semplicemente avvenuto quel che era già stato predetto. In seguito a tali considerazioni è facile capire come i totalitarismi trovavano sempre la perfetta risposta ai dubbi che potevano far aprire gli occhi al popolo, essi adattavano la realtà alle loro menzogne. Inoltre il linguaggio della scientificità profetica era quello di cui le masse avevano bisogno, che in un periodo di dubbi erano pronte ad abbandonarsi a forze che, come si rispecchia anche in uno dei più grandi romanzi del tempo di Dostojesky, eliminavano i dubbi con la privazione della libertà, sostituendo ad essa una più rassicurante dittatura totalitaria che togliendo all’individuo qualunque possibilità, e soprattutto, frustrazione di scelta appariva come una forza che da solo avrebbe condotto l’uomo in balia delle onde dell’avversità, al lido della salvezza.
Con questo tipo di propaganda si otteneva l’ulteriore stupefacente risultato di compattare le masse con il partito. Queste, hanno dimostrato sotto i totalitarismi, di non credere alla realtà visibile, e neanche a quella inventata, ma alla compattezza del sistema che promette di abbracciarle come una sua parte integrante. Essa si piega a qualsiasi ideologia, piuttosto che accettare la casualità che pervade la realtà, in quanto queste fanno rientrare i fatti negli schemi di conseguenze determinate da leggi universali. La propaganda totalitaria prospera su questa fuga dalla realtà con le sue coincidenze e i suoi fatti inspiegabili, ideando un tipo di argomentazione propagandistica dagli effetti a dir poco eccezionali, ovvero “la congiura universale”. Stalin ad esempio fece credere al popolo Russo che Trocki una volta esiliato preparava una congiura contro il potere del proletariato,ma questa fu solo la prima di una lunga serie che vide protagonisti l’imperialismo inglese quando ci fu l’accordo di Stalin con Hitler, fino ad arrivare ai servizi segreti americani subito dopo la guerra. Il susseguirsi delle congiure, non causava la scomparsa delle precedenti, ma venivano aggiunte fino a far credere che il mondo intero o quasi volesse la rovina della Russia.
Tutto questo veniva fatto per reclutare sempre nuovi adepti, e non stiamo parlando di normali assenzienti al regime (in cui possiamo collocare la stragrande maggioranza della popolazione), ma di attivisti che lottassero anche a costo della loro vita contro i cospiratori al regime, e quindi a loro stessi. Il vero fine della propaganda totalitaria non è la persuasione, ma l’organizzazione, “l’arte di accumulare il potere senza possedere gli strumenti del potere”, per far ciò i capi totalitari con imperturbabile  sicurezza estraggono dalle ideologie disponibili gli elementi che meglio si prestano a fare da basi per la creazione di un mondo interamente fittizio. Per questo la propaganda dei partiti tradizionali non riesce a competere(quando ancora questi hanno libertà di azione) con quella totalitaria; il suo contenuto, almeno per i membri del movimento, non è più una questione oggettiva su cui si possono avere delle opinioni, ma è diventato un elemento della loro vita quotidiana non meno reale e intoccabile delle loro regole aritmetiche. I regimi organizzano la struttura dell’intero sistema in conformità alle ideologie, e ciò può essere pienamente attuato soltanto in un ambiente totalitario. Mettere in dubbio il credo del partito, era come negare l’esistenza della propria persona e del mondo intero.
In un totalitarismo, dove la propaganda ha alimentato le file del movimento e il terrore traduce in realtà le assurdità ideologiche del partito, il movimento crea un mondo fittizio conforme a quello di cui la mente delle masse necessita e in cui si identificano mostrando la massima gratitudine e fedeltà.

Ma la propaganda è costituita da slogan che per inserirsi nelle lotte sociali si rifanno a problemi reali che poi vengono rivestiti da un’amalgama di estremizzazioni e menzogne allo scopo di creare quel mondo fittizio in cui sono sovrani incontrastati i totalitarismi. Ma le forme dell’organizzazione totalitaria sono completamente nuove, esse sono destinate tradurre in realtà il tessuto di menzogne imbastito intorno alla congiura centrale e a creare una società in cui gli individui non pensano ne agiscono, ma reagiscono secondo le regole di un mondo fittizio.
Per riuscire a soggiogare a tal punto la popolazione esso organizza, ancor prima della presa di potere, delle organizzazioni frontistiche, dove venivano distinti i membri effettivi dai simpatizzanti, creando una gerarchia dove vi è un assoluto comando dall’alto verso il basso, e un’assoluta obbedienza nel senso opposto. Ma tale gerarchia non deve essere intesa come quella che caratterizza le normali dittature di partito o militari, infatti in queste la catena gerarchicamente organizzata di comandi, implica che il capo dipende dal sistema in cui opera e per quanto autoritario e arbitrario possa essere il contenuto degli ordini, tenderebbe a stabilizzarsi e quindi a limitare il potere assoluto del capo.  Mentre nei totalitarismi non sono tanto gli ordini ad essere applicati, ma la pura e semplice volontà del capo. Hitler non aveva mai ufficialmente ordinato il massacro della notte dei cristalli, ma il suo tacito consenso era abbastanza per i suoi più stretti seguaci che vedevano in esso il trasparire del consenso da parte del Fürer. Hitler fu il primo a capire che le organizzazioni simpatizzanti il movimento dovevano dividere le masse conquistate in simpatizzati e membri effettivi convincendosi che pochi erano coloro in grado di lottare per i propri ideali senza limitarsi ad esprimere il loro consenso; in tal modo veniva delineata una politica diretta atta a ingrossare continuamente le file dei simpatizzanti tenendo allo stesso tempo rigorosamente limitato il numero dei membri del partito.
La differenza fra i due fronti sta nel fatto che i simpatizzanti vengono convinti del fatto che tra la vita privata e il partito, il secondo deve prendere il sopravvento. Invece il membro del gruppo militante si identifica interamente col movimento; non ha una professione o una vita privata indipendenti da esso. Questa organizzazione ha il notevole vantaggio di creare una sorta di cortina intorno al gruppo dei militanti che vedono nei semplici simpatizzanti gli individui del mondo normale esterno. In questo modo si attutisce l’urto di uno dei fondamentali dogmi totalitari, quello secondo cui “l’umanità è divisa in due giganteschi campi ostili, uno dei quali è il movimento destinato a combattere il mondo intero”. “Mediante una gerarchia accuratamente graduata di radicalità militante, in cui ciascun rango è per quello immediatamente dopo l’immagine del mondo non totalitario, perché è meno militate e i suoi membri sono meno rigidamente organizzati, lo shock della mostruosa terribile dicotomia non viene mai pienamente avvertito”.  Grazie a tale organizzazione i membri del partito non si troveranno mai a diretto contatto con il mondo esterno, la cui supposizione rimane una questione puramente ideologica, sottratta all’esperienza reale. L’isolamento dalla realtà è così perfetto che essi sottovalutano gli incredibili rischi della politica totalitaria. In seno a questa struttura gerarchica i combattenti per la rivoluzione mondiale o la conquista del globo non sono mai esposti allo shock inevitabile provocato dal contrasto fra la fede rivoluzionaria e il mondo normale, inoltre questa struttura ha il vantaggio di poter essere ripetuta all’infinito mantenendo l’apparato in una fluidità tale, da consentire di aggiungere nuovi strati e nuove gradazioni di radicalità militante.      
Per di più qualsiasi militante di qualsiasi radicalità ideologica una volta entrato a far parte di quest’apparato a strati non può più uscirne in quanto il movimento lo costringe con la violenza. Ma violenza non intesa come minacce dirette o qualsiasi altra cosa direttamente contro l’individuo, ma contro tutto quello che non rientra nel partito, i militanti sono ormai complici delle efferatezze del movimento e non ne possono uscire non a causa delle conseguenze della sua complicità in illegalità, ma in quanto all’interno si sentono più sicuri come membri che come avversari. Questo senso di sicurezza derivante dalla violenza organizzata con cui le formazioni d’elite proteggono i membri del partito dal mondo esterno, non è meno importante della paura dei suoi metodi terroristici per l’integrità del mondo fittizio dell’organizzazione.
Al centro del movimento è il motore che lo fa marciare, il capo. Egli vive separato dalle formazioni d’elite, in un’intima cerchia d’iniziati che diffonde intorno a lui un alone di impenetrabile mistero, corrispondente al suo peculiare, “intangibile predominio”. La sua posizione in seno a questa cerchia, dipende dall’abilità di essere intrighi fra i componenti cambiandoli di continuo. Egli deve la sua ascesa a un’eccezionale capacità di destreggiarsi nelle lotte intestine più che alle doti demagogiche o burocratico organizzative.Si distingue dai precedenti tipi di dittatori per la parte insignificante svolta dalla violenza bruta ella conquista della supremazia interna. Infatti Hitler non ebbe bisogno delle SS o delle SA per conquistare il potere, mentre RÖhm poteva contare sulla fedeltà delle SA; Stalin vinse contro Trockij che oltre ad esercitare un fascino infinitamente maggiore sulle masse era il capo dell’armata rossa e quindi aveva a sua disposizione il più grande potenziale dell’unione sovietica, inoltre era lui e non Stalin il più brillante organizzatore e burocrate della rivoluzione russa.
Queste capacità personali divengono superflue solo quando data un’impronta totalitaria al movimento e stabilito il principio secondo cui “la volontà del capo è legge del partito”, l’intera gerarchia non ha altro scopo che quello di realizzare immediatamente tale volontà in tutti i ranghi. Una volta raggiunto questo stadio, il capo è insostituibile perché senza i suoi ordini la complicata struttura del movimento perderebbe ogni ragion d’essere e crollerebbe. Egli rappresenta in tutto e per tutto il movimento, si assume personalmente la responsabilità per qualsiasi azione, lodevole o condannabile, compiuta da un militante o da un funzionario in veste ufficiale. Ma contemporaneamente egli può contare su un’organizzazione che gli consente di assumersi tale responsabilità per i crimini commessi dai militanti d’elite, e fingere allo stesso tempo l’onesta, innocente rispettabilità del più ingenuo simpatizzante, come se egli anche se assumendosi la responsabilità in quanto capo del movimento non sia responsabile di quanto accaduto.
Questa peculiarità caratterizzava anche le vecchie società segrete, non a caso i totalitarismi sono stati definiti: “società segrete alla luce del giorno”(Alexandre Koyrè) per le analogie nell’organizzazione. Infatti anche le società segrete formano delle gerarchie secondi il grado di iniziazione, regolano la vita degli adepti in base a una concezione segreta che fa apparire ogni cosa come se fosse diversa da quel che è, adottando una strategia di “coerenti menzogne” per ingannare le masse esterne di profani, esigono obbedienza cieca dai loro seguaci, uniti dalla fedeltà a un capo spesso sconosciuto e sempre misterioso che è attorniato da un gruppetto d’iniziati, circondati a loro volta dalla cerchia dei semi-iniziati che formano una specie di zona cuscinetto contro il mondo esterno. Ma forse l’affinità più sorprendente fra le società segrete e i movimenti totalitari, sta forse nella funzione del rituale. Le parate sulla Piazza Rossa di Mosca non sono a tale riguardo meno caratteristiche delle pompose solennità delle adunate di Norimberga. Al centro del rituale nazista vi era la “bandiera del sangue”, mentre al centro del rituale bolscevico vi era il corpo mummificato di Lenin. Ma gli idoli sono semplici espedienti organizzativi che solevano ispirare nei loro adepti un senso di segretezza mediante simboli terrificanti e tenebrosi, con l’ovvio risultato che gli individui erano tenuti più saldamente uniti dalla comune esperienza di un segreto cerimoniale che dalla comune conoscenza del segreto stesso. Che poi il segreto dei movimenti totalitari venisse ostentato alla luce del giorno, non cambiava necessariamente la natura dell’esperienza. In altre parole, i movimenti totalitari si giovano dell’armamentario delle società segrete, ma privandolo dell’unica giustificazione possibile, la necessità di garantire un segreto.
A infondere nelle masse la fedeltà irremovibile degli adepti delle società segrete non è tanto il segreto, quanto la distinzione fra loro e tutti gli altri. Ogni movimento totalitarista sostiene che al di fuori di esso tutto si estingue, un’affermazione che si avvera drasticamente nelle condizioni omicide del suo regime, ma che già prima della conquista del potere appare plausibile alle masse che nel suo mondo fittizio cercano rifugio dalla disintegrazione e dal disorientamento. Finché il movimento esiste, la sua struttura organizzativa fa si che almeno le formazioni d’elite non possono più concepire un’esistenza al di fuori della compatta schiera di uomini che, anche se condannati, continuano a sentirsi superiori al resto della massa, e sono lieti di sacrificare la loro vita se ciò giova a ingannare il mondo esterno.
Forse quello che ha più ispirato i totalitarismi delle società segrete è la menzogna coerente come mezzo per salvaguardare il loro mondo fittizio. Infatti in un mondo in continuo mutamento, e sempre più incomprensibile, le masse erano giunte al punto di credere tutto e niente, da pensare che tutto era possibile e niente era vero. Era pronto in ogni momento a credere al peggio, per quanto assurdo senza ribellarsi se lo si ingannava, convinto com’era che qualsiasi affermazione fosse in ogni caso una menzogna. “I capi totalitari basarono quindi la loro agitazione sul presupposto psicologicamente esatto che in tali condizioni la gente poteva essere indotta ad accettare le menzogne più assurde e il giorno dopo, di fronte alla prova inconfutabile della loro falsità, dichiarare di avere sempre saputo che si trattava di una menzogna e di ammirare chi aveva mentito per la sua superiore abilità tattica”. Inoltre i totalitarismi per camuffare le loro frottole e farle apparire come possibili le sottraggono al giudizio contemporaneo, in quanto le fanno rientrare in tempi di realizzazione di secoli o millenni. In questo modo si può affermare la qualunque senza che nessuno possa con sicurezza confutare, poiché questo può solo essere fatto soltanto dopo il futuro insuccesso o successo.
Un’ultima caratteristica dell’organizzazione totalitarista è la libertà dal contenuto ideologico di cui godono i vertici, infatti a differenza di altre forme dispotiche, i capi totalitari sono realmente liberi di fare quel che vogliono e possono contare sulla devozione assoluta dei membri che lo circondano, anche quando decidono di ucciderli. Una volta che il capo ha preso il posto, l’intera organizzazione si identifica con lui in modo così completo che un’ammissione di errore o una destituzione romperebbe l’incanto dell’infallibilità che circonda la sua carica e segnerebbe la rovina di tutti quelli che sono legati al movimento.




Quando un movimento internazionale, animato dalla pretesa di dominare il globo, conquista il potere in un solo paese, viene ovviamente a trovarsi in una situazione paradossale. Ma i regimi totalitari nella forma Staliniana e Hitleriana evitarono questa crisi facendo in modo che anche dopo l’avvento al potere il movimento non cambiasse struttura organizzativa e contenuto ideologico e resistesse alla tendenza di trasformazione da internazionale che era a nazionalmente circoscritto. Infatti un regime totalitario basa realmente la sua politica estera sul presupposto  dell’effettivo conseguimento del fine ultimo di conquista del mondo, e non lo perdono mai di vista per quanto remoto possa apparire. Esso cercava di mettere in pratica quella che, con Trockij, possiamo definire “rivoluzione permanente”.
Per tale scopo esso si serve dell’apparato statale, che in realtà è solo un’autorità apparente mentre il partito è quella reale. Infatti un apparato anche solo simile a quello statale avrebbe creato gerarchie e certezze su chi comanda che garantivano una certa stabilità assolutamente da evitare per un regime totalitario. Così essi creavano delle organizzazioni di “facciata” ad altre che erano quelle che realmente godevano del potere reale. Questo gioco poteva durare all’infinito ed era molto utile per il continuo spostamento del potere, del resto tanto più dura un regime totalitario tanto più il numero degli uffici sarà maggiore, creando più posti di lavoro dipendenti dal partito perché nessun ufficio è abolito quando viene esautorato. In questo modo no si capisce qual è il vero centro di potere da cui derivano gli ordini. Questa mancanza di struttura appare il mezzo ideale per quello che i nazisti chiamavano il principio del capo. La continua concorrenza fra gli uffici che, oltre a sconfinare con l’esercizio delle proprie funzioni nei settori altrui, sono caricati di compiti identici, rende pressoché impossibile l’opposizione e il sabotaggio.
Quest’infinita moltiplicazione degli uffici e la confusione di autorità portava ogni cittadino a sentirsi direttamente di fronte alla volontà del capo, che sceglieva arbitrariamente l’organo esecutivo delle sue decisioni. “Il principio del capo – infatti – non stabilisce una gerarchia né nel regime totalitario né nel suo movimento, esso a differenza delle consuete forme autoritarie, che si limitavano a limitare la libertà, mirava non solo a distruggerla, ma ad eliminare la spontaneità umana in genere, e non si accontenta affatto della sua riduzione, per quanto tirannica.
Quindi la moltiplicazione degli uffici e la duplicazione delle funzioni, erano solo la conseguenza di una struttura a “cipolla” del movimento, dove ogni strato era la facciata e il fronte di un gruppo più radicale. L’apparato dello stato è ridotto a un fronte di burocrati simpatizzanti, che in politica interna hanno la funzione di diffondere fiducia tra le masse, e in politica estera quella di ingannare il mondo esterno.      

Ma al di sopra dello stato (ridotto a una spoglia struttura residua del vecchio sistema, prima che il movimento totalitario prendesse il potere) e dietro le facciate del potere apparente e di uffici moltiplicati, sta il vero centro di potere del paese, la polizia segreta.
Già prima della conquista del potere il movimento possiede una polizia segreta e un servizio di spionaggio con ramificazioni in vari paesi. Dopo, i suoi agenti ottengono più denaro e autorità del servizio di spionaggio militare, e spesso sono i capi segreti delle ambasciate e dei consolati all’estero. Il loro compito consiste nel formare quinte colonne, nel dirigere le sezioni del movimento, nell’influenzare la politica interna dei rispettivi paesi, nel preparare il movimento in cui il capo totalitario (dopo il rovesciamento del governo nazionale) potrà sentirsi come a casa propria. In altre parole, “le agenzie internazionali della polizia segreta sono le cinghie di trasmissione che di continuano trasformano l’azione dello stato totalitario, mimetizzata come politica estera in un affare di politica interna del movimento totalitario”.
In seguito, quando il potere non totalitario che regna nel paese viene rovesciato, la polizia segreta si occupa dell’eliminazione degli oppositori al regime, dei nemici reali, per poi iniziare la caccia dei “nemici oggettivi”. E’ solo allora che la polizia segreta diviene la detentrice del terrore, dell’essenza stessa del regime totalitario. In genere i “nemici oggettivi” vengono ideologicamente definiti prima della conquista del potere, di modo che non occorreva l’informazione della polizia per stabilire le categorie dei sospettati. Così gli ebrei per i nazisti o i discendenti delle vecchie classi dominanti per i bolscevichi non erano realmente sospettati di attività ostile; essi erano stati dichiarati “nemici oggettivi” del regime in base alle sue ideologie.
Il “nemico oggettivo” differisce dal “sospettato” delle normali dittature in quanto la sua identità è determinata dall’orientamento politico del governo, e non dal suo desiderio politico di rovesciarlo. “Egli non è un individuo da provocare per smascherarne le idee pericolose o da sospettare per il suo passato, bensì un portatore di tendenze, non dissimile dal portatore di una malattia”. Per questo la sua definizione è un parametro fondamentale per l’esistenza di un totalitarismo, infatti se si trattasse “solo” di sterminare gli ebrei o i borghesi, dopo questo colossale ed efferato crimine, potrebbero stabilizzarsi nuovamente in una tradizionale forma di governo, ma come ben si sa dopo questi si scopriranno nuovi “nemici oggettivi”, nuove cospirazioni. Hitler dopo il completamento dello sterminio ebreo aveva già progettato quello dei polacchi, e addirittura in un seguito anche quello di certe categorie di tedeschi giudicate non perfettamente “pure”. In Russia, il terrore dopo aver cominciato con i discendenti delle classi vecchie classi dominanti, venne diretto contro i kulaki, determinandone la completa estinzione, in seguito contro i Russi di origine polacca, contro i tartari e i tedeschi del volga durante la guerra,contro gli ex reparti dell’armata rossa nel dopo guerra, e contro gli ebrei russi dopo la creazione di uno stato ebraico.
Oltre che per la diversa visione di nemico, le polizie segrete totalitarie, differiscono da quelle tradizionali per il loro completo assoggettamento ( come tutti i membri del movimento d’altronde) alla volontà del capo. Le polizie segrete tradizionali con il possesso di informazioni particolarmente riservate si elevavano su qualsiasi altra istituzione arrivando ad essere un pericolo per gli stessi vertici del movimento. L’evoluzione del concetto di polizia segreta ha fatto sì che sotto i movimenti totalitari, questa non aveva più il compito di smascherare gli esecutori di assassini, ma quello di, quando il capo lo riteneva necessario, arrestare determinate parti della popolazione, essa è la sola a godere della fiducia del capo e a sapere in anticipo quale sarà la linea politica che si seguirà, è la depositaria dei massimi segreti di stato e per assicurare il successo del movimento esegue gli ordini del capo senza neanche sapere chi siano le vittime.
Ma la polizia segreta non ha solo introdotto il concetto di “nemico oggettivo”, ancor più interessante è la definizione di un nuovo tipo di crimine che si differenzia dal “sospetto”, il “delitto possibile”. La differenza sta nel fatto che mentre il “sospetto” viene arrestato perché capace di commettere un reato che più o meno si adatta alla sua personalità, il “delitto possibile” dei totalitarismi è basato su “un’anticipazione logica di sviluppi oggettivi”. Nei processi di Mosca contro la vecchia guardia bolscevica e i comandanti dell’armata rossa, accusati di fatti inventati di sana pianta, si applicò il seguente calcolo politico: l’evoluzione dell’URSS potrebbe provocare una crisi, una crisi potrebbe condurre al rovesciamento della dittatura di Stalin, ciò potrebbe indebolire la potenza militare del paese e la situazione che si verrebbe a creare con un’eventuale guerra potrebbe indurre a firmare una tregua e ad un’alleanza con Hitler. Dettata dalla presunzione totalitarista che tutto è possibile, e quindi anche i delitti intravisti per via di ragionamento, si arriva alla drammatica conseguenza dello sterminio dei “futuri, probabili colpevoli” a prescindere dal fatto che il reato a loro imputato sia stato commesso o meno, non si possono correre rischi.
Sempre per eliminare tali rischi di rovesciamento il capo (soprattutto nella società staliniana) organizzava periodicamente delle purghe, che spianavano la strada alla nuova generazione da poco laureata e affamata di posti di lavoro. Questo periodico sconvolgimento dell’intera macchina amministrativa, aveva lo svantaggio di impedire il formarsi di competenze, ma indubbiamente aveva anche molti vantaggi. Innanzi tutto quello di assicurare la relativa giovinezza dei funzionari, ed evitava che la situazione si stabilizzasse arenandosi in una tradizionale dittatura dalla gerarchia a piramide. Eliminava l’anzianità e il merito, impedendo lo sviluppo di quei vincoli personali e professionali, e allontanava una volta per tutte lo spettro della disoccupazione garantendo ad ognuno un lavoro compatibile con la sua istruzione. La conseguenza psicologica del fatto di dovere il proprio posto all’ingiusta eliminazione del proprio predecessore aveva lo stesso effetto corruttore dell’eliminazione degli ebrei dalle professioni in Germania: faceva di ogni funzionario un complice consapevole dei crimini del governo, col risultato che quanto più sensibile era l’individuo umiliato, tanto più ardentemente difendeva il regime. Il governo totalitario aveva così prodotto un profondo mutamento nella psicologia sociale.
E’ in una simile società che la polizia segreta totalitaria opera perfettamente, sterminando prima della conquista del potere i “nemici reali” per poi una volta conquistato il potere passare ai “nemici oggettivi” accusati del “delitto possibile”. Solo nell’ultima fase, veramente totalitaria, del sistema vengono abbandonati questi concetti per passare a una nuova categoria di nemici che viene selezionata completamente a caso e senza alcun motivo apparente, vengono sterminati per il solo fatto di non essere degni di vivere. Questa nuova categoria che si potrebbe definire di “indesiderabili” può essere costituita dai malati di mente, di cuore o di polmoni per i nazisti o persone che semplicemente si trovavano incluse nella percentuale da deportare, variabile da una provincia all’altra, per il regime staliniano. Questa coerente arbitrarietà nega la libertà umana più efficacemente di qualsiasi tirannide, non solo riducendola alla sua ultima garanzia, palesemente indistruttibile, il suicidio, ma privandola del suo carattere distintivo perché “le conseguenze del suo esercizio sono condivise con persone completamente innocenti. I malati di malattie polmonari colpiti dall’eventuale legge sanitaria generale di Hitler avrebbero subito la stessa sorte dei comunisti e degli ebrei. Così gli oppositori del regime staliniano condividevano il loro destino con gli innocenti scelti casualmente per le periodiche purghe. L’innocente e il colpevole erano egualmente indesiderati.
Il mutamento avvenuto nel concetto di crimine e criminale determina i nuovi e terribili metodi della polizia segreta totalitaria. I criminali sono puniti, gli indesiderabili spariscono dalla faccia della terra; l’unica traccia che rimane di loro è il ricordo di coloro che li hanno conosciuti e amati, e uno dei compiti più difficili della polizia segreta che anche questa traccia scompaia insieme al condannato. Quello che più fa paura è che la polizia segreta staliniana si avvicinava molto a questo dominio e di controllo totale, come traspare dai resoconti degli agenti dell’NKVD arrestati. Essa aveva per ogni individuo dell’immensa URSS  un dossier segreto, in cui venivano descritte le molteplici relazioni che lo legavano ad altri individui, dalle conoscenze superficiali, alle amicizie, ai rapporti familiari; e quando gli accusati venivano interrogati, non era per ottenere la confessione del reato, che era già stato stabilito, ma per accertare tali relazioni. Nei paesi totalitari una volta che si era arrestati e portati in un lager o in una prigione, era come entrare nell’oblio, dove si andava a finire senza lasciare neppure le normali tracce dell’esistenza di una persona, “un cadavere e una tomba”. La polizia segreta totalitari riesce a compiere il terrificante miracolo di far sì che una persona non sia mai esistita, cancellandolo anche dalla memoria di chi lo ha conosciuto, che si libera del ricordo dell’accusato, in quanto l’essere a conoscenza di un individuo che ora non esiste più, vale come aver commesso la pena per cui è stato “obliato”.
Questo infernale meccanismo è possibile solo in un sistema totalitario dove guidati dal capo si acquista sempre più la convinzione che tutto possa essere ottenuto con l’organizzazione, inducendoli a esperimenti forse solo immaginati, ma mai compiuti nella storia dell’umanità. Le loro orrende scoperte nel regno del possibile sono ispirate da una scientificità ideologica non più controllata dalla ragione. Il mistero della polizia segreta, l’educazione di “soldati politici”, l’indottrinamento delle formazioni d’elite, servono ad un unico scopo, l’esplorazione del possibile.

L’esplorazione del possibile compiuta in un regime totalitario, raggiunge il suo apice nei laboratori del regime per la verifica della sua pretesa di dominio assoluto sull’uomo, i campi di concentramento. Il dominio totale che mira a organizzare gli uomini nella loro infinita pluralità e diversità come se costituissero un unico individuo, è possibile soltanto se ogni persona viene ridotta a un’immutabile identità di reazioni, si tratta di ridurre un uomo in qualcosa la cui unica “libertà” consisterebbe nel preservare la specie. Tale scopo, viene perseguito sia con l’indottrinamento delle formazioni d’elite sia con il terrore assoluto dei lager, e proprio questi sono il banco di prova delle atrocità a cui sono state addestrate i militanti delle prime. Dopo l’assunzione del controllo dei lager da parte delle SS, la semplice brutalità assassina iniziale, lasciò il posto alla fredda sistematica eliminazione di individui, dove per sterminare e  degradare individui, per compiere l’orrendo esperimento di eliminare, in condizioni scientificamente controllate, la spontaneità stessa come espressione del comportamento umano e di trasformare l’uomo in un oggetto, in qualcosa che neppure gli animali sono, oltre che ad addestrarsi si guadagnava il diritto di diventare membri effettivi delle SS. In circostanze normali la spontaneità non può mai essere interamente soffocata, connessa com’è non solo alla libertà umana, ma alla vita stessa in quanto semplice rimaner vivo. “Solo nei campi di concentramento un esperimento del genere è possibile, per questo essi sono, [..….], l’ideale sociale che guida un potere totalitario”.
Come la stabilità del regime dipende dall’isolamento che ha verso le forze esterne, così i campi di concentramento possono essere davvero efficienti solo se rimangono nascosti agli occhi dei vivi in genere. Tale isolamento spiega l’irrealtà che caratterizza tutti i resoconti su di essi e costituisce una delle principali difficoltà per la comprensione del dominio totalitario, che sono legati ai lager in quanto quest’ultimi costituiscono la vera istituzione centrale del potere totalitario, l’istituzione più conseguente a un regime totalitario; dove gli individui vengono trasformati in “animali che non si lamentano” che “Ricordano, ma non comunicano” (the dark side of the moon).
Ma all’inizio, quando ancora il movimento non ha conquistato il potere assoluto, il terrore dei lager, serve solo a sbaragliare gli avversari e a rendere impossibile ogni ulteriore opposizione; il terrore totale si scatena solo quando assunto il dominio totale, il regime non ha più oppositori, arrivando a distruggere “l’anima” di un individuo senza distruggerlo fisicamente. Il risultato finale saranno individui senz’anima, uomini che non possono più essere compresi psicologicamente, e il cui ritorno al mondo umano “somiglia da vicino alla resurrezione di Lazzaro”. Siamo di fronte a un fenomeno che va oltre la nostra comprensione “perché rimane al di fuori della vita e della morte”; non ci impressioniamo di fronte a un assassinio in quanto è un qualcosa di familiare, che si muove nel campo del “normale”. Ma quella che è l’eliminazione psicologica che riduce un uomo a un corpo privo dell’”anima”, non si accontenta di eliminare un uomo fisicamente lasciando ancora un cadavere e il ricordo di esso in ogni conoscente dell’assassinato, essa pretende di cancellare l’esistenza di un uomo, eliminando anche queste tracce.
Il vero orrore dei campi di concentramento è che anche se sopravvivi sei tagliato fuori dal mondo dei vivi più efficacemente che se fossi morto, poiché “il terrore impone l’oblio”. In essi la vita era sistematicamente organizzata per infliggere il massimo tormento possibile, le masse umane che vi erano segregate erano trattate come se non esistessero più, come se la sorte loro toccata non interessasse più nessuno, come se fossero già morte e fossero trattenuti tra la vita e la morte prima di essere ammessi alla pace eterna. I campi di concentramento dimostrarono che quanto per millenni la fantasia aveva relegato in un regno al di là della competenza umana può essere realmente prodotto qui sulla terra, e che il potere dell’uomo è maggiore di quanto si osasse supporre, capace di realizzare le fantasie più infernali senza il necessario avvenire di eventi soprannaturali. Basti pensare che senza ombra di dubbio l’obbiettivo ultimo dei nazisti (che erano i maestri nell’applicare l’orrore dei lager), era quello di avere un popolazione dei campi interamente formata da innocenti, all’interno dei campi di concentramento infatti “solo un parte molto esigua era costituita da oppositori” e che non vi era alcuna relazione fra “la reclusione e l’esistenza di un reato”(Bek e Godin,  op. e cit). Queste masse di gente innocente in ogni senso, erano qualitativamente e quantitativamente quelle che più si prestavano all’esperimento del dominio totale effettuato nei campi di concentramento. La selezione arbitraria della popolazione dei campi era un fattore necessario, basta guardare i numeri degli individui uccisi a Buchenawald per capire che se i prigionieri dei lager sarebbero stati costituiti da avversari politici, difficilmente sarebbero sopravvissuti ai primi anni del regime.
Con tale sistema si intendeva distruggere ogni diritto civile, al fine di distruggere la “personalità giuridica” dell’uomo, condizione necessaria per il suo dominio totale, ciò valeva non solo per le categorie che i regimi ideologicamente non accettavano, ma per ogni singolo cittadino. “il libero consenso è pericoloso quanto la libera opposizione; l’arresto arbitrario che colpisce persone innocenti distrugge la validità del libero consenso come la tortura distrugge quella della libera opposizione. Il passo successivo per la creazione di cadaveri viventi (quali erano i detenuti nei campi di concentramento), era l’uccisione della personalità morale, ottenuta impedendo il martirio. L’atomizzazione dell’individuo che i totalitarismi creavano faceva si che si moriva in solitudine, che nessuno piangesse la tua morte, anche se questa era sopraggiunta per una giusta protesta. Dopo l’eliminazione dell’individuo chi ne aveva dei ricordi cercava di cancellarli dalla propria mente in quanto costituivano un pericolo per se stesso. Il dolore e il ricordo erano vietati.
Una volta uccisa la personalità morale, l’unica cosa che impediva agli uomini di diventare cadaveri viventi è la differenziazione dell’individuo, la sua identità. I metodi usati per raggiungere l’unicità della persona erano numerosi. “Essi cominciavano con le mostruose condizioni del trasporto nei lager, durate il quale centinaia di esseri umani erano stipati in un carro bestiame completamente nudi, appiccicati l’uno all’altro, e sballottati da una parte all’altra per giorni e giorni; continuavano dopo l’arrivo al campo, col ben organizzato shock delle prime ore, con la rapatura, con la grottesca divisa; e finivano nelle immaginabili torture, calcolate in maniera talea non uccidere il corpo, perlomeno non rapidamente. Lo scopo di tali metodi era in ogni caso, quello di manipolare il corpo umano, con le sue infinite possibilità di sofferenza, in modo da fargli distruggere la personalità con la stessa inesorabilità di certe malattie mentali di origine organica”.
Dopo l’uccisione della personalità morale e l’annientamento della persona giuridica la distruzione dell’individualità riesce quasi sempre. Presumibilmente si troverà qualche legge della psicologia di massa capace di spiegare perché milioni di persone si lasciarono portare incolonnati senza resistere nelle camere a gas, anche se tale legge non spiegherà altro che l’annullamento dell’individualità. A questo punto lo scopo è ottenuto, sono stati creati i cittadini perfetti di un regime totalitario: sinistre marionette con volti umani che reagiscono tutte con perfetta regolarità anche quando vanno incontro alla propria morte, e che si limitano a reagire. Questa è la vittoria del sistema: “Il trionfo delle SS esige che la vittima torturata che la vittima torturatasi lasci condurre al capestro senza protestare….. Non è per puro sadismo che si vuole questa disfatta…..Chi le vede si dice: per essere ridotti così, quale potenza deve nascondersi nelle mani dei loro padroni.”(Rousset, op. e cit. pag. 525).
Quello che più risalta agl’occhi è che la società creata nei campi è l’unica che permette il dominio totale dell’uomo; per ottenere ciò bisogna eliminare ogni spontaneità (che è la diretta conseguenza dell’individualità che i regimi totalitari per le loro pretese tendono ad eliminare), e colpirla nelle sue manifestazioni più private, per quanto apolitiche e innocue possano sembrare. Per il regime, il carattere è una minaccia, ma l’individualità e tutto ciò che distingue un uomo dall’altro è intollerabile. Finché tutti gli uomini non sono resi egualmente superflui (il che finora è avvenuto solo nei campi di concentramento), quando non li si riduce a una serie regolare di reazioni, l’ideale del dominio totale non è raggiunto. Quando l’uomo è più di questo, è di ostacolo al regime
Da questo sistema si è capito quanto grande e terrificante sia il potere dell’uomo, tale da consentirgli realmente di essere chi vuole essere, o di fare degli altri quello che realmente vuole che siano.

In conclusione l’ideologia totalitaria non mira alla trasformazione delle condizioni esterne dell’esistenza umana né al riassetto rivoluzionario dell’ordinamento sociale, bensì alla trasformazione della natura umana, che “cos’ì com’è si oppone al processo totalitario”, i lager sono i laboratori dove si sperimenta tale trasformazione. E anche se gli sperimenti, lontani dal cambiare l’uomo sono riusciti soltanto a distruggerlo, non si devono dimenticare le limitazioni di tali esperimenti, che richiederebbero il controllo dell’intero globo per produrre risultati conclusivi.
Infatti totalitaria non è la pretesa della Russia rivoluzionaria che nelle condizioni esistenti la dittatura del proletariato sia la migliore forma di governo,bensì la catena di deduzioni, tratta soltanto dal dittatore totalitario, in base alla quale risulta logicamente che senza tale sistema non si può costruire una metropolitana, che chiunque sa dell’esistenza della metropolitana di Parigi è sospetto perché potrebbe dubitare della prima deduzione e che quindi, se fosse possibile, bisognerebbe distruggere questa metropolitana, che invero non sarebbe mai dovuta esistere.
“A parte tali considerazioni rimane il fatto che la crisi del nostro tempo e la sua esperienza centrale hanno portato alla luce forme di governo che, in quanto potenzialità e costante pericolo, ci resterà probabilmente alle costole per l’avvenire. I regimi totalitari hanno scoperto senza saperlo che ci sono crimini che non si possono né punire né perdonare.
Ma rimane altresì vero che ogni fine nella storia contiene un inizio; questo inizio è la promessa, l’unico messaggio che la fine possa presentare. L’inizio prima di diventare avvenimento storico, è la suprema capacità dell’uomo; “Affinché ci fosse un inizio è stato creato l’uomo - dice Agostino - .Questo inizio è garantito da ogni nuova nascita; è in verità ogni uomo”.

Mi auguro che il post sia stato di vostro gradimento,nel frattempo vi auguriamo buon proseguimento insieme a Frasiandu e buona serata!











lunedì 13 ottobre 2014

Ugo Russo


Buongiorno e bentrovati cari lettori di Frasiandu!
Lacrime, come se piovesse. Per il calcio è una domenica relativamente tranquilla, grazie alla sosta della serie A per la nazionale. Ma Tutto il calcio minuto per minuto non si ferma, e i suoi telecronisti battono i campi della serie B.
È Ugo Russo, storica voce del programma di Radio1, a rompere il solito aplomb dei radiocronisti. È a Livorno, la partita è finita con un rotondo 6 a 0 per i padroni di casa, il Trapani esce sconfitto. E Russo scoppia in lacrime. Non è tifoso della squadra siciliana. Dopo oltre quarantadue di carriera, il giornalista ha commentato la sua ultima partita.
Una commozione iniziata già dal primo collegamento, quando Russo ha rispolverato la frase con cui, alla fine degli anni '60, era solito esordire: "Gentili signori all'ascolto, la mia voce torna a titillare i vostri padiglioni auricolari".
Ma è alla fine che Russo non riesce a trattenere le lacrime. La voce rotta, i singhiozzi che si susseguono, il telecronista riesce a fatica a chiedere una licenza allo studio: "Ringrazio tutti i meravigliosi ascoltatori che anche questa volta mi hanno seguito. Vi porterò sempre nel mio cuore. Questa è la nostra ultima telecronaca per la Rai, che però è terminata".
 E adesso per onorare questo grande telecronista e giornalista un po della sua biografia.

Ha cominciato a scrivere per un bisettimanale (Record, poi diventato il Corriere Laziale) quando aveva neppure 18 anni, ed ha lavorato per le prime radio private romane sin dal 1974. Con Roma video blu ha inaugurato le televisioni libere della capitale passando, nel tempo, a Pts, Teleregione, Canale 7, Canale 66, Teletevere, Teleroma 56. Con quest'ultima ha lavorato per 16 anni, facendo tutte le radio-telecronache esterne di Lazio e Roma. Ha lavorato per tante importanti televisioni private nazionali. È entrato in RAI nel 1994 diventando, successivamente, inviato.
È attualmente il giornalista in attività ad aver effettuato più radiotelecronache, ora è arrivato ad oltre 4000, come riportato anche su articoli apparsi su La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino, Il Corriere dell'Umbria. È stato ospite di varie trasmissioni sulla Rai (Uno Mattina estate, Scommettiamo che?, Casa Rai1, in cui Massimo Giletti lo ha intervistato per 15 minuti assieme all'ex campione di pugilato Sandro Mazzinghi, ecc.). Ha scritto su numerosi giornali e riviste. Per quanto riguarda i quotidiani, ha lavorato per anni con il gruppo Corrieri e Gazzette: è stato prima redattore del Corriere dell'Umbria e del Corriere di Viterbo e poi caporedattore del "Corriere di Civitavecchia e Roma Nord".
Parallelamente al lavoro di giornalista, ha svolto per quasi 30 anni l'attività di cantante e imitatore. In quest'ultima veste, oltre ad arrivare a rifare il verso a circa 200 personaggi, è stato il sosia (con adeguato travestimento) del cantante Demis Roussos, imitandone perfettamente anche la voce, tanto che è stato spessissimo scambiato per lui. Come artista è uscito su vari quotidiani e settimanali, con ampie interviste: Panorama, Stop, Il Momento Sera, Il Messaggero, partecipando, come ospite, a trasmissioni mandate in onda, tra le altre, da Rai, Canale 5, Italia 1, Telemontecarlo.
È stato il cantante solista dei Papi Fruggini, degli Acquaviva, del Centro Sound. Ha lavorato anche con gli Epoca. Nei primi anni Ottanta è uscito un suo 45 giri: Ricordo d'amore e Rimorsi, canzoni delle quali ha composto musica e parole. Il 4 settembre del 2011, prima di trasmettere una partita di serie B, Livorno-Nocerina, è stato colpito da un ictus ischemico che lo ha tenuto in coma per 11 giorni. Poi il miracoloso risveglio e nessuna conseguenza riportata, tant'è che è ritornato presto alla normale attività lavorativa. E a maggio 2012 la Minerva edizioni di Argelato (Bologna) ha pubblicato il suo primo libro autobiografico (il suo terzo in totale, oltre a una decina di prefazioni per libri di altri colleghi o noti personaggi, come ad esempio il già citato Sandro Mazzinghi per il suo "Sul tetto del mondo") "Un microfono a due facce", in cui Russo, partendo dallo spiacevole episodio di Livorno, che avrebbe potuto ucciderlo, unico momento triste del volume, sciorina successivamente una serie di aneddoti e situazioni allegre e particolari dei suoi 44 anni di attività tra giornalismo e spettacolo. Ecco perché, come recita il titolo, le due facce del microfono, oggetto necessario per poter evidenziarli al meglio. Assieme alle tantissime foto dell'autore con i personaggi più noti dello sport e della canzone, incontrati in tutti questi anni, ci sono pure spaccati di un giornalismo pionieristico dove emergono ancor di più umiltà, volontà e spirito di sacrificio, qualità necessarie per andare avanti nella professione. E dunque ci sono anche delle pagine piene di insegnamenti e più di un consiglio ai giovani che vogliono intraprendere la carriera "della penna e del verbo".
"Un microfono a due facce" è già stato presentato a Bologna, Roma, Milano e Torino in location fantastiche, riscuotendo un buon successo, con tanti personaggi del passato e del presente, grandissimi per quello che hanno fatto o che stanno ancora facendo, ma soprattutto presenti perché amici di Ugo Russo, con il quale condividono la stessa sensibilità, la stessa umanità, la stessa ricerca di quei valori necessari per un sano vivere civile ed equilibrato e che oggi sembrano sfuggirci di mano e, in alcuni casi, non esistere più.
Gli esiti delle suddette presentazioni sono facilmente visibili su Internet. E Ugo promette di mettersi presto al lavoro per la stesura di un altro libro.
Il 12 ottobre 2014 realizza la sua ultima radiocronaca, raccontando la netta vittoria del Livorno sul Trapani per 6 a 0. Al termine del collegamento, mentre rivolge il suo saluto al pubblico, non riesce a trattenere la commozione e scoppia in lacrime in diretta.
Ci auguriamo che il post sia di vostro gradimento nel frattempo buon proseguimento insieme a frasiandu!